Un’accurata progettazione dell’esercizio può migliorare l’efficacia del trattamento riabilitativo?

Un’accurata progettazione dell’esercizio può migliorare l’efficacia del trattamento riabilitativo?

Introduzione

L’esercizio terapeutico è sicuramente uno degli strumenti più utilizzati in ambito clinico dai fisioterapisti. Ragionare sulla performance dei diversi distretti muscolari è importante per capire come il paziente organizza e struttura i propri schemi motori e quindi anche per correggere disfunzioni di movimento legate all’attività quotidiana. Un crescente numero di studi sta evidenziando come l’esercizio sia utile ed efficace per migliorare la condizione dei pazienti in moltissimi contesti.

In alcuni casi l’esercizio ha come scopo principale quello di promuovere schemi motori corretti e fisiologici nei pazienti, altre volte viene utilizzato per facilitare o promuovere alcune funzioni sistemiche come quelle dei sistemi cardiovascolare o ormonale, ed infine, in alcune situazioni, viene utilizzato per “migliorare ed ottimizzare” una specifica performance muscolo-tendinea di un particolare gruppo o di più gruppi di muscoli.

Nell’ultimo caso l’esercizio agisce su alcuni “fattori contribuenti” che determinano il modo in cui il sistema organizza il movimento: tra questi possiamo citare la lunghezza, la tensione, la potenza, l’elasticità, il reclutamento, la rigidità muscolare, ma l’elenco potrebbe essere ancora più lungo.

Per ottenere il miglioramento di specifiche performance è determinante progettare l’esercizio secondo criteri specifici per la qualità che vogliamo influenzare, altrimenti sarà difficile ottenere il risultato voluto.

Come terapisti ci lamentiamo spesso che i pazienti non fanno gli esercizi per partito preso e bisogna ammettere che questa affermazione è in parte vera, tuttavia in tema di aderenza ai programmi di lavoro è importante anche riflettere sul tipo di proposta che noi facciamo come professionisti.

Quanta enfasi diamo all’esecuzione corretta ed efficace dell’esercizio che proponiamo?

Siamo credibili nello spiegare perché è cosi importante lavorare su una determinata qualità muscolare in modo preciso e puntuale?

Siamo in grado di proporre programmi di lavoro “sfidanti” e “stimolanti” per i nostri pazienti?

Utilizziamo dosaggi specifici per le diverse qualità da allenare o prescriviamo il solito 3×10 ripetizioni lentamente a basso carico oppure ancora peggio liquidiamo la questione con un “ne faccia più possibile”?

Siamo in grado di personalizzare l’intervento con strategie precise disegnate sui bisogni del paziente?

Siamo in grado di costruire una progressione che dimostri al paziente piccoli ma continui miglioramenti verso un obiettivo specifico che abbiamo concordato insieme?

 

Proviamo a fare degli esempi.

Un paziente che ha sviluppato una fasciopatia plantare ha bisogno innanzitutto di capire l’importanza dell’esercizio per il miglioramento della sua condizione clinica; soprattutto deve percepire che il programma di esercizi che gli proponiamo è fattibile, ma allo stesso tempo sfidante, che c’è una progressione che ogni 3-4gg prevede di aumentare il carico, il numero di ripetizioni oppure la velocità di esecuzione in modo da stimolare i tessuti. Vedere che ogni giorno posso fare di più con minor dolore è fondamentale per la motivazione. È anche importante spiegare al paziente in che modo può avere un ruolo decisivo nel gestire il lavoro, riportando in modo preciso i sintomi secondo specifici criteri che abbiamo condiviso e permettere quindi di modulare il lavoro in relazione all’andamento dei sintomi stessi. Inoltre anche dimostrare di conoscere le tempistiche e sviluppare una prognosi sulla base delle specifiche possibilità del paziente aumenta la nostra credibilità di terapisti e migliora l’aderenza al trattamento. Per fare tutto questo le nostre conoscenze in termini di fisiologia muscolare, fisiologia dell’esercizio e dell’allenamento devono essere ampie e approfondite, così come l’aver sviluppato una vasta esperienza su un notevole numero di casi può aiutare a gestire tutte le variabili in gioco.

Proviamo ad immaginare un paziente con lombalgia con una cifosi lunga che soffre anche di una problematica di compressione a causa di addominali superiori corti. Dal punto di vista dell’intervento riabilitativo, oltre a promuovere posture e attività funzionali che lo facciano uscire dalla flessione toracica e promuovano un allineamento fisiologico della colonna, sarà utile suggerire esercizi di allungamento dei muscoli addominali superiori. Se penso a quali strategie ci sono a disposizione, fa una grande differenza sapere se questi addominali sono corti e deboli, oppure corti ma forti, perché nel primo caso avrò più successo puntando sull’attivazione in modalità eccentrica, mentre nel secondo caso sarà molto meglio insistere sullo stretching statico prolungato sia in forma attiva che passiva, che sarebbe veramente poco utile, invece, in chi ha muscoli corti, ma deboli.

Per fare poi un ultimo ragionamento d’esempio sul tema del corretto dosaggio e scelta della modalità d’esercizio, possiamo citare i numerosi studi che stanno dimostrando quanto in termini di ipertrofia sia assolutamente indifferente (a parità di lavoro totale) utilizzare modalità eccentriche o concentriche, e altrettanto indifferente lavorare con bassi carichi e alto numero di ripetizioni oppure con alti carichi e basso numero di ripetizioni: l’unica cosa che conta sembra essere il fatto che si debba raggiungere un certo grado di esaurimento muscolare. Tuttavia questo non significa che non ci siano differenze in assoluto nel scegliere una modalità rispetto ad un’altra, anzi…ve ne sono moltissime! L’esercizio concentrico ad esempio a basso carico e a velocità lenta favorisce la vascolarizzazione, mentre a velocità lenta ma ad alto carico può addirittura limitarla favorendo la produzione di acido lattico. Se confrontiamo invece modalità concentrica ed eccentrica, anche se a parità di lavoro totale producono lo stesso incremento di forza massima, sappiamo che determinano cambiamenti dell’architettura muscolare molto diversi: la prima rende il muscolo funzionalmente più “corto” e migliora il reclutamento della porzione attiva, la seconda invece focalizza il carico maggiormente sulle strutture passive e rende il muscolo funzionalmente più lungo.

Conoscere queste differenze in alcuni casi è molto importante e può fare la differenza nel risultato finale del trattamento.

Il tema di come “allenare” in modo efficace i pazienti è dunque centrale, perché molte volte il successo del percorso terapeutico passa dall’impostare un piano di lavoro che sia adeguato agli obiettivi preposti e preveda un ruolo attivo del paziente nel supportare e amplificare in autonomia quanto fatto durante le sedute.

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